ESCLUSIVA IPG - Bardin: “Capello antisportivo con me, ecco il perché. Toldo e Buffon? Rivali"
La leggenda del Vicenza ed ex preparatore dei portieri della Nazionale italiana, si è confessato a Il Pallone Gonfiato
Protagonista di una carriera importante tra le fila di Vicenza, Ascoli, Cesena, Spal e Padova, l’ex estremo difensore veneto ed illustre preparatore dei portieri Adriano Bardin, si è confessato a Il Pallone Gonfiato in una interessante intervista a 360 gradi, realizzata da Francesco Rossi. Bardin è riconosciuto come una vera leggenda del Vicenza, club con il quale ha collezionato ben 156 presenze in Serie A. Portiere eccellente, affidabile, protagonista indiscusso del calcio italiano anni ’60, ’70 e ’80 e reduce da battaglie epiche contro avversari storici come i vari Boninsegna, Bettega e Capello, Bardin si è distinto pure come allenatore e preparatore dei portieri, confermandosi un grande professionista.
La gloriosa carriera come preparatore dei portieri di Buffon e Toldo
Una volta terminata la carriera da calciatore, l’ex Vicenza è diventato un punto di riferimento – e vero e proprio maestro - per fuoriclasse come Francesco Toldo e Gianluigi Buffon, da lui stesso allenati per molti anni tra Fiorentina e Nazionale Italiana, fino ad arrivare a portare la sua cultura calcistica all’estero in realtà differenti, conquistando la Superliga portoghese con il Benfica di Giovanni Trapattoni nella stagione 2004/05. In questi ultimi anni, Adriano ha realizzato ben due libri autobiografici (L’Ultimo Spogliatoio e Ricordi Biancorossi anni ’60 ’70), ricchi di riflessioni e aneddoti. Oro colato per gli appassionati di questo sport. Tra grandi successi, avventure calcistiche epiche e qualche delusione, l’ex portiere italiano ha rivelato alla nostra redazione alcuni particolari interessanti del mondo del calcio:
Ci racconti il Bardin calciatore: com’è stata la sua esperienza nel rettangolo di gioco? Le manca il calcio vissuto da protagonista in campo?
“Sono rimasto ancora calciatore e qualche sogno di notte, lo faccio ancora da calciatore. Il sogno più ricorrente che ho è che mi sto preparando per giocare la partita. Mi mancano i guanti, le scarpe, sono pronto per giocare ecc. ma la partita non riesco mai a farla. Mi sveglio proprio di soprassalto perché non riesco a entrare in campo. Essere calciatore è stata la mia vita: ho iniziato da giovane e continuo anche ora con il calcio. Come portiere credo di aver fatto il mio dovere e di essere stato sempre serio. Prima mettevo il calcio e poi la famiglia, che dovrebbe essere il contrario, però dentro di me prima c’era il calcio”
Ha qualche ricordo particolare che ci può rivelare relativo della sua carriera? Ha dei rimpianti?
“Ricordi particolari della mia carriera? Non sono le parate che ho fatto ma i gol che ho preso. Ogni tanto mi viene in mente un gol che subii a Roma da Amarildo al 90’: stavo per fare una parata meravigliosa, ero arrivato vicino…poi una volta entrato nello spogliatoio, mi accorsi che mancavano due tacchetti nella mia scarpa, furono determinanti. Partita formidabile, avevo giocato benissimo ed era 0-0. Ogni tanto questa partita la rivedo in tv, la fanno vedere: Roma-Vicenza 1-0, stagione 1971/72. Ogni volta che la vedo, soffro terribilmente. Non ho rimpianti della mia carriera da calciatore, in ogni caso se ci sono, vanno cacciati via (ride, ndr).
Vi svelo un aneddoto su Fabio Capello: durante una sfida contro la Juventus, Bettega tirò in porta. Io parai il tiro e poi la palla mi sfuggì dalle braccia, ma la ripresi subito. Allora Capello urlò a Bettega: ‘le mani, gli potevi pestare le mani!’. Insomma rimproverava Bettega per non essere intervenuto su di me e di pestarmi le mani. Fu una cosa antipatica e antisportiva. A lui interessava fare gol. Il calcio di una volta era così e il comportamento di Capello era quello lì: doveva vincere a tutti i costi”
Lei ha pubblicato lo scorso anno un libro intitolato “Ricordi Biancorossi anni 60/70”, dove ha parlato nello specifico dei suoi compagni di squadra tra le fila del Vicenza. Cosa hanno in più i calciatori di quell’epoca rispetto a quelli attuali, dal punto di vista caratteriale e tecnico?
“I giocatori del passato rispetto a quelli di adesso, erano credibili. I calciatori più anziani di una volta, se ti dicevano qualcosa dicevano la verità e dicevano cose importanti. Rispetto ad adesso, in passato c’era meno velocità e il gesto tecnico si vedeva di più. Adesso è difficile vedere anche il gesto tecnico perché la velocità è aumentata. Gli ultimi due anni, la mia nipote Bianca ha giocato a livello di calcio femminile (dove il gesto tecnico viene esaltato di più perché è un calcio meno veloce, ndr): le giocate migliori le vedi nel calcio femminile, più lente e vedi dei bellissimi gol come una volta negli anni ’50 e ‘60”
Durante la sua lunga e importante carriera, qual è il calciatore più forte con il quale ha giocato in squadra? L’avversario più forte invece?
“Uno dei migliori calciatori con il quale ho giocato e che faceva il difensore, è stato Nello Santin, il quale ha fatto pure una buona carriera. Giocò nel Milan e poi nel Torino. Era un difensore che andrebbe bene pure adesso, perché aveva i piedi buoni e una volta era difficile vedere difensori con i piedi buoni. Però se dovessi scegliere un difensore, scegliere Sergio Carantini. Aveva la caratteristica di guardare il portiere mentre giocava, come Morini della Juventus. Questo perché pensava sempre di potermi aiutare. A volte me lo sogno e dico ‘adesso mi viene in aiuto Carantini’. Guardava sempre dalla parte del portiere. Come avversario scelgo Boninsegna: a metà strada con la palla, lui non si fermava mai. Entrava sempre ed era sempre al posto giusto e al momento giusto. Segnò diversi gol ed era quello che soffrivo di più”
La miglior partita da lei disputata in Serie A?
“Di base io sono interista. La prima cosa che guardavo quando giocavo nel Vicenza, era quando giocavamo contro l’Inter. Speravo sempre di giocare in primavera e non quando era freddo. La fatalità fu proprio giocare nel mese di gennaio, stavo compiendo 30 anni all’epoca. Abbiamo giocato contro l’Inter e vincemmo a San Siro. E’ stato un bel ricordo, vincemmo 2-1 e feci una buona prestazione. Ci penso ancora adesso e sono contento. Giocammo di mercoledì perché c’era un recupero e quando tornai a casa, nessuno lo sapeva perché aspettavano di vedere il tutto al telegiornale. Mi chiedevano ‘che risultato avete fatto’? Quando arrivai a casa, mio padre e mio fratello non sapevano che avevamo battuto l’Inter. Mi fratello mi diceva ‘dai andiamo in centro, così diciamo che abbiamo vinto con l’Inter’. Andammo in centro a Schio per farci vedere, ma nessuno ancora lo sapeva”
Passiamo alla sua carriera da allenatore e preparatore dei portieri: quali sono i suoi ricordi migliori di questa esperienza?
“I migliori momenti che ho avuto da preparatore dei portieri, sono le parole che hanno riservato per me gli allenatori con i quali ho lavorato. Dicevano ‘tutti vorrebbero avere Adriano Bardin come collaboratore’. Ogni tanto penso a Trapattoni, Giorgi che dicevano questo su di me. Queste sono cose che restano e rimangono dentro. Come allenatore dei portieri, sono sempre rimasto uno di loro. Sono sempre rimasto un portiere. Ai ragazzi dicevo sempre quando ero preparatore dei portieri ‘io sono uno di voi, sono un portiere. L’allenatore decide lui chi far giocare, io invece vi alleno e mi alleno insieme a voi’. Ovviamente quando mi chiedevano chi far giocare, è logico che se mi chiedevano davo la risposta”
Quali sono i punti da curare maggiormente durante una seduta di allenamento dei portieri secondo lei?
“Una volta i portieri dovevamo allenarli stando dentro la loro ‘casa’, ovvero la porta, massimo stare fino all’area piccola. Adesso invece un allenatore ha bisogno di tutta l’area. Come allenatore devi far giocare il portiere in qualunque posizione all’interno dell’area, perché in questo momento il portiere deve pensare a tante cose e non solo quando è in porta ma soprattutto fuori dalla porta. L’allenamento migliore adesso è dunque fuori dalla porta. Parare e calciare non è la stessa cosa: calciare è un cosa, parare è un’altra cosa. In questo caso dobbiamo alternare, ovvero calciare e imparare a parare. Bisogna assolutamente allenare diversamente le due cose e non è facile. Volevo poi aggiungere una cosa importante: l’allenatore dei portieri deve essere più coinvolto nella formazione che andrà in campo, perché non è più allenatore dei portieri e basta ma anche allenatore della difesa. Deve essere più considerato come ruolo, perché nella lista è sempre in fondo ed è un ruolo importante. L’Inter ha perso lo Scudetto per via del portiere recentemente (si riferisce all’errore di Radu a Bologna, ndr), anche se l’errore nasce dalla rimessa laterale più che dal portiere. Dopo quell’errore, Radu è finito come portiere ed è un buon portiere, dato che con quella partita lì si è rovinato una carriera. Al suo procuratore Damiani con il quale ho giocato nel Vicenza, tutte le volte glielo rammentano, anche se ripeto: la colpa è di colui che ha effettuato la rimessa laterale”
Secondo lei le doti che un portiere deve avere per stare al top quali dovrebbero essere?
“Un buon portiere deve avere sicuramente il fisico. Deve essere ben dotato fisicamente, fermo restando che il fisico non è tutto. Cragno che a me piace molto, non è fisicamente dotato ma la buona presenza vuol dire molto. Cragno anche se non è altissimo, in porta da l’impressione di essere alto e ha coraggio”
La rabbia per il Mondiale 2002 e il trionfo in Portogallo con il Benfica di Giovanni Trapattoni
Ci racconti le sue sensazioni provate al Mondiale 2002 di Corea e Giappone e all’Europeo del 2004 in Portogallo con la Nazionale di Trapattoni: c’è ancora molta rabbia per essere stati estromessi in quella maniera e per quel 2-2 tra Svezia e Danimarca?
“Preferisco sempre parlare poco di questo, specialmente per quanto riguarda i Mondiali 2002. E’ stata una delusione che rimarrà per sempre. Cerco di mandarla via, ma rimane. E’ stata una delusione enorme, perché avevamo la squadra per vincere il Mondiale e ci sono state delle fatalità. La fortuna ci ha girato le spalle. Le ultime parole di Trapattoni, me le ricordo ancora adesso: ‘io nella Juventus ho avuto fortuna, ma in Corea e Giappone no’. C’è mancato solo questo. Tutti parlano dell’arbitro, ma io mi ricordo la parata che fece portiere coreano Lee su un tiro di Gattuso. Nessuno lo fa mai vedere, fu un miracolo. Se fai quel gol lì, vai avanti e forse vincevi pure perché avevamo la squadra per farlo. Poi altre cose ci penalizzarono, come i comportamenti da bambino di Totti sia al Mondiale che all’Europeo. Questo accadde perché alcuni non erano ancora uomini, ma erano bambini. Invece di pensare al Mondiale o all’Europeo, scherzavano e giocavano tra di loro. E’ mancata un po’ d’esperienza che hanno avuto poi dopo nel 2006. Noi dello staff li preparammo, questa è la verità. Noi li abbiamo preparati a vincere.
Il 2-2 di Svezia e Danimarca a Euro 2004? Delusione enorme perché c’è sempre quell’immagine in televisione dove io vado ad abbracciare Cassano dopo il gol del 2-1 alla Bulgaria. Non sapeva che avevano concordato quel 2-2, che gli permetteva di passare a entrambe. Quel 2-2 era già programmato da una settimana”
Lei ha allenato Francesco Toldo nella Fiorentina, preparandolo all’Europeo magistrale che disputò nel 2000 con la Nazionale di Dino Zoff, così come Gianluigi Buffon in Nazionale sempre assieme a Toldo. Ci può raccontare qualche aneddoto relativo a questi due formidabili portieri?
“Buffon quando arrivò in Nazionale, era convinto che avremmo fatto giocare Toldo come titolare perché lo avevamo alla Fiorentina. Un giorno osservai Buffon in allenamento un giovedì, facevamo i tiri in porta. Giovanni Trapattoni aveva Toldo in porta e io Buffon: vidi fare delle cose a Buffon che spinsero ad andare da Trapattoni e dirgli ‘prova ad andare a vederlo’. Era una cosa incredibile. Toldo non mi perdona una cosa e a suo tempo mi disse: ‘cosa ha in più di me Buffon? Perché gioca lui?’. Buffon aveva una caratteristica: faceva un passo in avanti e non un passo indietro. Lui attaccava la palla di più di Francesco. La realtà era questa, sennò non c’erano differenze. Se non c’era Buffon giocava Toldo. In quel caso lì, Toldo non era convinto però alla fine mi diede ragione. Buffon attaccava sempre la palla, la prendeva 10 cm più avanti e non l’aspetta. In questo movimento era più forte rispetto a Toldo”
In una intervista rilasciata qualche anno fa, Toldo affermò che tra lui e Buffon c’era una certa rivalità. Cosa ne pensa di questo tema?
“La rivalità tra i due c’era, dato che Toldo mi diceva sempre in allenamento guarda il tuo amico’, riferendosi a Buffon. Nessuno dei due sapeva degli esercizi che facevo, perché li cambiavo in continuazione e tutti mandavano avanti Toldo. Era un ragazzo intelligente, perché anche se non sapeva che esercizio era, veniva senza problemi. Gli nascondevo l’esercizio perché sennò sarebbe stato troppo facile. Tutti i giorni facevo esercizi diversi tra l’uno e l’altro, ciò perché non volevo creare questa rivalità tra i due che c’era. Tra di loro non c’era un buon rapporto. Credo che a cena insieme non siano mai stati. Era comunque una rivalità sana. Li ho visti fare delle cose in allenamento tra di loro che nessun altro preparatore aveva visto prima”
Lei pensa che Buffon sia il migliore di sempre?
“Il portiere aiuta molto la squadra, ma non ti fa vincere i campionati. Giocatori come Maradona te li fanno vincere. Buffon il migliore di sempre? Io non faccio classifiche”
Tra le sue esperienze migliori in veste di preparatore dei portieri, c’è sicuramente quella della Superliga vinta in Portogallo con il Benfica, dove vinse il campionato che mancava da ben 12 anni: cosa ci racconta di quel trionfo?
“Il miglior ricordo che ho dell’esperienza con il Benfica, è stato quando abbiamo vinto il campionato e andammo da Oporto all’aeroporto (il Benfica giocò l’ultima di campionato contro il Boavista, ndr) con tutti i tifosi del Benfica che correvano dietro il pullman. Arrivammo alle 3 e mezza di notte all’Estadio Da Luz con 60.000 persone che attendevano la squadra. Sono cose quelle che ti rimangono per sempre. Il Benfica non vinceva la Superliga da 12 anni, non era facile vincere. E’ un campionato difficilissimo. La gente che dice che è facile vincere il campionato in Portogallo, non capisce nulla di calcio, dato che affrontavamo i campioni d’Europa in carica del Porto in quella stagione. Come abbiamo fatto a vincere alcune partite non lo so, perché giocavamo in campi davvero duri”
Dopo il successo di Lisbona, lei seguì Trapattoni allo Stoccarda, non trovandosi bene con il portiere della squadra tedesca in quel momento: Timo Hildebrand. Cosa ci può dire a riguardo?
“Trapattoni riguardo Timo Hildebrand non mi disse la verità. Se mi avesse detto che c’era già questo preparatore dei portieri (il preparatore di Hildebrand, ndr), che lo aveva cresciuto nelle giovanili ecc. allora era dura, sia per lui che per me. Io non lo sapevo e non parlando il tedesco, a volte non riuscivo a capire ma quell’esperienza mi è servita per capire il gesto del corpo: ogni movimento del portiere, riuscivo a capire se gli andava bene l’esercizio oppure no. E’ stata l’unica nota stonata che ci voleva, sennò sarebbe stato tutto bello. Qualcosa di stonato nella vita ci vuole. A un contratto di due anni era difficile dire di no. Se Trapattoni me lo avesse detto, sarei rimasto a Lisbona un altro anno ma il gruppo con Giovanni, Fausto Rossi (preparatore atletico, ndr) era consolidato. L’unico neo che potrei dire su Trapattoni è che poteva dirmi la verità subito su questa questione. Si poteva fare anche diversamente, magari collaborando pure con l’allenatore di Hildebrand a fasi alterne. Trapattoni non me lo disse perché aveva paura che non andassi”
L’attuale portiere della Nazionale italiana è Gianluigi Donnarumma: cosa ne pensa dell’estremo difensore del PSG?
“Donnarumma secondo me ha cambiato troppi preparatori e molto lo stile di gioco. Ogni domenica che gioca, effettua un movimento diverso: una volta è troppo alto, un’altra è troppo basso…Ciò vuol dire che non ha una direttiva precisa del suo comportamento. Nelle uscite alte non trova mai il tempo di uscita, perché non sa cosa fare. Perché ha in testa due, tre idee ed è proprio questo l’errore. Un portiere deve decidere e andare, invece lui ci pensa due volte. Una volta pensa di andare alto, una volta pensa di stare fermo e va avanti ecc. Ha tre pensieri e non ne esegue nemmeno uno. Quando gli tirano da vicino, fa qualche bella parata perché è un buon portiere e niente da dire, ma non è maturo. Purtroppo ha cambiato troppi preparatori ed è pure poco convinto delle sue capacità. La sua dote migliore? La sfacciataggine, ovvero che se prende gol da la colpa agli altri. Quella è una bella dote (ride, ndr)”
Le morti di Gianluca Vialli e Sinisa Mihajlovic hanno scosso il mondo del calcio e alcuni hanno avanzato ipotesi – senza prove certe - che possano essere dovute alle sostanze che i calciatori assumevano in passato. Cosa ci può dire a riguardo?
“Quando giocavo, sul tavolo mettevano il Micoren e il caffè. Adesso non si può prendere. Una volta lo mettevano sul tavolo e chi voleva prenderlo lo prendeva, ma a quei tempi nemmeno il medico sapeva che funzioni poteva dare secondo me. Era un usanza che mettevano sul tavolo il Micoren e il caffè. Ricordo che un ex giocatore del Milan prendeva l’aspirina con la Coca Cola. Era tutto per sentito dire all’epoca: il medico metteva sul tavolo certe cose e chi le voleva prendere le prendeva. Era anche una questione psicologica: una volta prima di una partita importante, c’era il direttore sportivo che non ricordo come si chiamava, che insieme al massaggiatore dava a tutti i calciatori una zolletta con dei santini (ride, ndr). Erano tutte usanze per fare qualcosa per vincere, ma a quei tempi nessuno ne sapeva niente. Prendevamo cose senza dargli peso, poi c’erano le sostanze dei ciclisti e qualche eccitante che magari era pure controproducente secondo me”
Il Napoli ha dominato lo Scudetto nella passata stagione: come descriverebbe la squadra partenopea allenata da Spalletti lo scorso anno? Potranno ripetersi con Garcia in panchina?
“Erano 11 giocatori che stavano bene insieme. Se guardavi le partite, era impossibile scegliere il migliore. Erano tutti allo stesso livello, riuscivano tutti a trovarsi nello stesso momento, stessa forma e per quello hanno vinto tante partite. Loro 11 su 11, giocavano bene la partita. Ripetersi in questa stagione sarà un problema secondo me, anche per l’ambiente dato che faranno festa tutte le settimane. Dobbiamo vedere la mentalità che avranno i giocatori”
Mancini ha rassegnato le dimissioni da CT della Nazionale: che idea si è fatto su questa decisione clamorosa?
“Mancini? Io avevo un allenatore che si chiamava Cacciari e mi diceva sempre ‘guarda che nel mondo del calcio può succedere di tutto. Sai perché? Perché i migliori protagonisti che dovrebbero essere i giocatori, hanno i pantaloncini corti. Sai cosa voleva dire? Che sono dei bambini. Ecco, tutte queste cose sono robe da bambini e non da uomini. Non entro nei casi personali, ma secondo me è stata una situazione…solo nel mondo del calcio possono succedere queste cose. Sono rimasto deluso. Mi sono meravigliato di certe cose. Il calcio è un gioco, ma è anche un gioco serio. Il cambio di staff? Nel sostituire Vialli è arrivato Buffon che con lui non c’entra nulla…non era facile convivere”
Rumors danno Luciano Spalletti in pole come nuovo CT della Nazionale: secondo lei è la scelta giusta?
“Per me sarebbe una buona scelta. Non sono convinto che vada, ma se andrà penso sia adatto. Poi è toscano e si farà sentire (ride, ndr)”