Caressa imita Adani: “No entiendo porque hablate en italiano. Ahora somos todos argentinos. Rai? Non mi hanno mai chiamato, ma..."
Il volto noto di Sky parla del suo lavoro di telecronista e scherza su Adani
È accaduto durante una puntata di Cachemire, podcast di Edoardo Ferrario e Luca Ravenna dove Fabio Caressa era ospite assieme alla compagna Benedetta Parodi. Ecco cosa, secondo quanto riportato da Mowmag.com, ha risposto alla domanda di uno spettatore che gli chiedeva cosa stesse facendo visto che non c’è l’Italia da commentare:
“Devo dire che non le sto vedendo tutte, perché gli orari secondo me sono un po’ complicati, se hai delle cose da fare non ce la fai. Però lo sto vedendo comunque il Mondiale, guardo il Mondiale e andiamo in onda con il Club. Non è che la mia vita sia cambiata tantissimo. Sarebbe cambiata se l’Italia fosse andata al Mondiale, perché probabilmente Sky avrebbe preso i diritti e saremmo andati lì insomma. Quindi cambiava tantissimo. Però devo dire la verità, io ho un retropensiero sempre, avendo fatto l’ultima telecronaca dell’Italia che vince: quando ci sono i Mondiali e Sky non ha i diritti e non ci va l’Italia io soffro un po’ di meno, perché comunque un po’ soffrirei. Quindi mi dispiace tantissimo ma soffro un po’ di meno. E poi mi diverto a vedere… gli altri che commentano (ride)”.
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A questo punto sono intervenuti i due padroni di casa. Ecco le parole di Ferrarrio:
“C’era un problema di doppie se non sbaglio e di una pronuncia strascicata”.
“Sobrio momento di commento tecnico”.
L’intervento di Caressa ha tolto ogni dubbio sul riferimento a Adani:
“No entiendo porque «hablate» en italiano. Ahora somos todos argentinos. Tenemos que hablar en argentino. Italia es Argentina”.
A quel punto tutti hanno capito, tranne la Parodi:
“No niente, Bene, poi te lo spiego a casa a te. Bene non è molto addentro”.
Durante una delle sue dirette Twitch a commento del Mondiale (“Stamo in diretta”) il giudizio di Caressa su Adani era stato più misurato:
“Io non parlo mai dei colleghi che fanno lo stesso mestiere per principio, ma c’è una ragione. La telecronaca secondo me è una cosa che va molto a gusto. Cioè ti può piacere o non ti può piacere, l’importante è che chi la fa sia un professionista serio, e stiamo parlando di un professionista serissimo e preparato. L’unica cosa che penso è che magari ci sono ambienti dove un certo tipo di comunicazione è più accettato, per esempio noi delle televisioni a pagamento abbiamo un pubblico più abituato a certe cose, invece sulla televisione generalista e in particolare sulla Rai c’è meno abitudine a un certo tipo di commento, e per questo forse c’è stato poi quel genere di reazione. Però veramente io penso che la telecronaca sia una cosa che ti viene di sentimento e quindi quando una cosa è genuina e di sentimento secondo me va sempre bene. È importante che si mantenga poi un contatto anche con il sentimento di chi ti sente”.
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Concetti esplicitati, ampliati e un po’ affilati in una diretta con Ocw Sport:
“Se mi chiamassero in Rai (non mi hanno mai chiamato) probabilmente farei un gradino sotto rispetto a come sono abituato, perché devi sapere dove stai, e se sai dove stati, sai anche che hai un pubblico diverso da quello che è abituato a sentirti. Non ci sono solo i tuoi, ci sono anche tutti gli altri che magari vedono una partita all’anno e quindi non devi eccedere. La seconda cosa è che non devi essere troppo stridente con il sentimento che gli altri vivono a casa, altrimenti la dicotomia tra il tuo sentire e il sentire degli altri non è più colonna sonora, ma è una cosa diversa. Non c’è più la stessa armonia e allora si crea magari un po’ di fastidio, perché tu stai avendo un tipo di emotività che io non percepisco in quel momento, non è mia, e quindi non mi stai aiutando nel processo di vicinanza emotiva alla partita”.
“Un altro elemento della telecronaca è capire il livello di quello che stai facendo. Se quando arriva un pallone e quello lo mette giù tu cominci a dire «che stop!!! Ma hai visto che stop che ha fatto?!?»… Eh, quello piglia 12 milioni all’anno e ha stoppato un pallone, quello deve fa’ nella vita sua, quindi quello ha fatto. Se poi c’è uno stop particolare lo esalti, ma altrimenti se tu metti il primo gradino alto, allora il quinto, la finale, il gol decisivo, Maradona nell’86? Ci sono talmente tanti livelli che tu devi essere pronto a dare il tuo massimo quando pensi che quello sia il livello massimo, altrimenti c’è una dicotomia. Ma questo non vuol dire che io credo che Lele abbia sbagliato: non mi permetterei mai di dire una cosa del genere, perché Lele è uno che fa le cose come sente.Però credo anche che il mestiere sia… Anche a me è capitato di sbagliare in questa direzione, sono cose che poi apprendi piano piano. Secondo me quando stridi con il sentimento degli altri non puoi entrare in armonia con loro. Vuol dire essere al servizio della partita”.