Due ingressi in campo ritardati che raccontano due storie diametralmente opposte: quelle di Mattia Destro e Gianmarco Pozzecco

- di Leonardo Vicari -

Giorgio Faletti ci intitolò così una propria raccolta di racconti, immaginari ed angoscianti. Una piccola ma fortemente cupa antologia, che tramite l’oscuro e l’incomprensibile tiene legati i protagonisti e le loro storie. Non portandoli da nessuna parte. Sabato nelle due case per antonomasia dello sport cittadino, si sono palesate due scene che se denudate dal contorno potevano sembrare due rappresentazioni dello stesso copione. In realtà sia la scenografia che gli interpreti hanno recitato un percorso indipendente. E quasi opposto.Mezzogiorno e una manciata di minuti, il Bologna con 12 elementi tra cui Blerim Dzemaili è in procinto di affrontare la Roma e sta scaldandosi nella metà campo sotto l’Andrea Costa (perdonatemi, per me la curva nord si chiama così, come il palasport di Casalecchio resta il PalaMalaguti, mentre Land Rover Arena non sò neanche cosa sia..). Lo svizzero sta effettuando il classico provino pre-match, che darà responso negativo e lo vedrà costretto a passare dall’iniziale panchina ad una precauzionale tribuna. Entrano le riserve, in tuta d’ordinanza, ed iniziano il torello. Non c’è Mattia Destro. Passano almeno 5 minuti, e la punta destinata alla tredicesima panchina stagionale sbuca dal tunnel, indifferente ed incalcolato. Ad aspettarlo dagli spalti o tra i fotografi, nessuno. Non la svestirà mai quella giacca blu a maniche lunghe, lo sa lui e lo sappiamo tutti. Non so cosa abbia fatto in quei minuti Destro, se si è attardato per bisogni fisiologici, per un massaggio, una preghiera, un rito, un laccio rotto da sostituire. E conta poco. So invece quanto una Società ci tenga all’immagine di sè, talvolta inutilmente formale e patinata: si arriva allo stadio in cravatta, e si entra in campo con i compagni. Le basi. Questa scena marginale, questo ruolo da figurante sfuocato, questa passerella da addetto al palco prima dell’inizio di un concerto è l’istantanea più attuale e nitida del numero 10 rossoblù. E al Bologna di Mattia Destro, delle sue prestazioni, della sua immagine, del suo valore di mercato, sembra non interessare più niente.Ore 20, Piazza Azzarita: il nuovo coach della Fortitudo entra una quindicina di minuti buona dopo la squadra. Se mi astraggo mi sembra di tornare allo stadio, quando invece cambia tutto: il contorno, il gusto, il senso. C’è il languore tipico dell’attesa, che si trasforma come da copione in visibilio, e si manifesta con migliaia di smartphone ad accalappiare immagini destinate a lasciare il segno. Gianmarco Pozzecco sabato sera è stato Mattia Destro al suo arrivo in stazione, un migliaio di giorni fa. Lo stesso Mattia Destro che un girone fa veniva buttato dentro all’Olimpico all’ultimo momento (in)utile, si prendeva due fischi dagli ex tifosi, non toccava logicamente una palla perchè una squadra stremata sarebbe stata incapace di assistere chiunque. Oggi, è superato anche da Krejci nel ruolo di controfigura, percui non nascondiamolo inutilmente: oggi Destro non sembra nemmeno più meritarsi di essere, per Donadoni e per il Bologna, un problema. Peccato, davvero.
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