Più vicina a Briatore che a Burioni nella gestione di quello che il Comitato Olimpico Internazionale chiama post-corona world, con la speranza di poter fare l'appello l'anno prossimo a Tokyo, l'Eurolega che ha infastidito squadre e giocatori per il ritardo con cui ha registrato quello che stava succedendo e che ha ricominciato a succedere fuori da palasport e arene si è riscattata lanciando in questi giorni di esordio della nuova stagione una campagna sociale e social che qui è rappresentata da una foto di tutti i giocatori top, Datome per Milano, ma è anche, se volete, uno spot da vedere e far vedere.

Fieri del basket

Qualche anno fa usai questo slogan per festeggiare i 100 anni del basket, nato nel 1891. Non era una rivendicazione contro qualcuno, e non era ancora, visti i tempi, una campagna social. Ma c'era già l'idea, per non dire il bisogno, che il basket fosse qualcosa di più di una partita. Nel post-corona world abbiamo imparato che un virus si combatte con comportamenti virali: non il gesto straordinario di un eroe, il gesto comune di tanti, quante più persone possibile. Per noi, sotto canestro, non è nemmeno una grande novità: si chiama gioco di squadra. Però bisogna avere un progetto sociale e social per unire tanti soggetti diversi. E sarebbe bello che il basket italiano, la Lba che festeggia 50 anni, e la Fip che festeggerà l'anno prossimo il secolo di vita, diventasse davvero una squadra per dimostrarsi cosa è successo e continua a succedere da una parte e dall'altra dell'oceano.

Black lives matter

Perchè l'Nba invece che sentirsi confinata nella bolla, a Orlando, si è sentita, trascinata di peso dai giocatori, nel mezzo di quella vicenda che appunto è sociale e social che si chiama lotta al razzismo. L'Nba non ha solo scritto in campo, dunque in tutto il mondo, che Black Lives Matter, che la vita di ognuno conta; non solo ha permesso a ogni giocaore di essere interprete di un suo messaggio. Ha fatto quello che nemmeno anni di attività di Nba Cares avevano mai prodotto: una rivoluzione culturale, tale proprio perchè ha fatto diventare collettiva una consapevolezza che, altrimenti, lasciata ai singoli rischiava di diventare un gesto isolato, come un pugno nero sul podio ai GIochi del Messico, o un giocatore inginocchioato durante l'inno prepartita in uno stadio Nfl. La Nba ha deto per seè, e per tutto il basket che non è proprio possibile voltarsi dall'altra parte se si vuole un'alta parte. Basta insomma con le chiacchere, con la scusa che lo sport non si deve occupare di politica, come se vivesse in altre comunità o sulla luna.

Not in our world

E così schierandosi, singolarmente, ma sempre united, una squadra di all star senza confini, i giocatori dell'Euroleague dicono che non sono accettati nel loro mondo, che è il nostro, qualcosa di più grande del campo, comportamenti scorretti. Datome dice "noi siamo qui per la giustizia", e lo dice parlando da capitano non solo della sua squadra ma di tutti noi. Adesso che sappiamo cosa è un virus, sappiamo che lo possiamo battere con comportamenti virali. Ognuno deve fare la sua parte, anche noi fieri del basket: in campo, in panchina, in tribuna, al campetto, in palestra, davanti alla tv. Non siamo un altro mondo, basta smetterla di continuare a guardare dall'altra parte perchè il mondo che cerchiamo è già qui. Siamo noi.

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