Ci ripescò dal baratro della C. Se ne va Ferruccio Recchia, diesse generoso e irascibile
Il ricordo di Ferruccio Recchia, dirigente di altri tempi e modi. Il suo approccio allo sport e alla vita. I rapporti con la proprietà rossoblù e con i cronisti
- di Alberto Bortolotti -
"Ferruccetto" arrivò da Avellino, scuola Sibilia, nella tarda primavera 1983. I rossoblù erano reduci da 15 vittorie, in 2 anni, su 68 partite giocate, e da una doppia retrocessione che portava la firma dell'assicuratore Tommaso Fabbretti (anch'egli recentemente scomparso, come tanti altri protagonisti del'epoca: Cadé, Santin, Pace, in pratica tutti i tecnici di quella breve avventura), finito pure in carcere.Fu Recchia, contattato da Fabbretti, a proporre Brizzi. E la campagna acquisti fece - giustamente - piazza pulita dei malinconici protagonisti della doppia disavventura (ci cascò in mezzo, oltre a un giovane Guidolin, anche un incolpevole Colomba): restarono solo Fabbri, Paris e De Ponti. Dal settore giovanile si affacciarono gli imberbi Marocchi e Gazzaneo. Quella squadra presidiava mirabilmente le corsie con Donà e Ferri (un po' esterni un po' mezze ali), difendeva a 3 con Bombardi, Logozzo e Fabbri libero, l'asse centrale di centrocampo era il "vertice basso" Pin e quello alto Facchini, all'attacco esterni Marocchi/Zerpelloni e Foglietti/De Ponti con Frutti centravanti. Un 3-3-1-3 di inventiva e applicazione, in un calcio molto, ma molto più offensivo di quello attuale. Tanta gente di categoria, bandito il fighettismo. Tre sconfitte in tutto il torneo, due volte con la Rondinella e in casa con il Rimini. 16 gol di Frutti, alla fine in serie B con il Parma di coach Perani e la coppia difensiva Murelli-Pioli. Curiosità: tra gli arbitri di Can C che ci diressero quel Fabio Baldas coinvolto in Calciopoli come "sodale" di Moggi. Recchia era un diesse interventista. Le frizioni con Cadé cominciarono quasi subito, il poeta e il contadino, potremmo dire (sbagliando), perché era vero che il mister appariva più "signore" del dirigente ma la realtà spesso non è come appare. Recchia era un generoso. L'anno dopo rientrò Zinetti e il sottoscritto (anni 27!), dopo un'infelice prestazione del numero 1 a Francavilla in Coppa Italia (allora facevo le telecronache), in cui lo bollai come "cacciatore di farfalle" (francamente, avevo esagerato), fece scoppiare un alterco, urla e promesse di botte sotto il porticato di Casteldebole. Il dirigente difende il giocatore? Macché, neanche un po'. "Dimmi cosa ti ha detto esattamente che gli faccio prendere una multa del Sant'Uffizio !" "ma no, Ferruccio, dai, lascia perdere". Quante volte mi ha caricato in macchina (sì, è esistito un periodo in cui i giornalisti viaggiavano con i dirigenti, erano in pullman con la squadra - capitato a un giovanissimo me, 18 aprile '87, da Messina a Catania - e non erano certo più teneri del peraltro morbidissimo oggidì), abbiamo onorato assieme la tavola (memorabile la trasferta di Padova, 16 settembre '84: io, l'avvocato Vaselli, Nando Macchiavelli e Recchia dobbiamo decidere dove pranzare. Optiamo alla fine per il Pellegrino, Via Murri, dove non si fa cucina veneta ma petroniana, e piombiamo sull'Appiani facendo i 200 sulla Mercedes di Ferruccio: allora si poteva...), abbiamo parlato di calcio, donne e vita. Si dice: Brizzi e Recchia, due plumoni pazzeschi. Mica vero. Sì, Brizzi era quello che raccoglieva i gettoni in aeroporto, non sprecava i panini del pranzo al sacco degli hotel, dormiva sul divano a Casteldebole, portava con disinvoltura foulard e si cotonava il bulbo. Ma quando si tratta di comprare Frutti (in C) e Marocchino (in B), beh, ecco...non vorrei fare confronti con il presente. E comunque Brizzi non era Recchia, e viceversa. L'anno dopo non comincia bene (e finirà peggio). Tra Santin e Marocchino scintille subito, esonero con lite (ho già raccontato che Piero Santin telefonò da una cabina dello Chalet delle Rose alla moglie inferocito con le inusuali modalità non dell'esonero, ma del licenziamento per fatto e colpa voluto dall'avvocato Vaselli: io lo so perché ero nella cabina di fiancoa origliare, e i telefonini compaiono solo 6 anni dopo, grandi, appunto, come cabine), il rapporto con Brizzi si sfilacciò e Recchia, resosi conto che quella squadra non poteva fare la doppia promozione - arrivò nona - chiuse anzi tempo le sue vicende a Casteldebole. Con tanti rimpianti: il Bologna gli era rimasto nel cuore. Una gestione intera dell'area tecnica, una promozione. Trovarne, di dirigenti così.
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