La telenovela sta finendo, con buona pace dei tifosi milanisti che, incassato due mesi fa uno scudetto, sono stati tutti presi a voler immediatamente il lecca lecca. Tutto, subito. Maldini e Massara dovevano rinnovare il 23 maggio, giorno dopo lo scudetto, e De Ketelaere arrivare il giorno successivo alle prime voci che lo davano in approdo a Milanello. E invece per entrambe le cose c'è voluto un po' più di tempo, com'è normale che sia: il belga arriverà a Milano a breve e si unirà ai compagni per essere disponibile probabilmente già a Marsiglia domani. Succeda prima o succeda dopo, quel che interessa è che il classe 2001 di belle speranze è di fatto un giocatore rossonero. Quel profilo di qualità che serviva sulla trequarti, quella faccia pulita che ai milanisti ricorda Kakà, arrivato in occhialini da secchione in un'estate di 19 anni fa, calda come questa a livello di temperature. 

Da milanista, anzi, milanologo, immerso nelle vicende rossonere, a volte però mi trovo più a battagliare coi miei simili che con interisti o juventini: ciò che è peggio, quando si vince qualcosa, è non tener conto di quanto fatto dal gruppo che ti ha portato alla vittoria. A testare il polso della tifoseria, Elliott è reo di non aver speso “i soldi del premio scudetto” (17 milioni, più 10 di ingresso in Champions League che arrivano dalla Uefa, cifre riportate dal Sole 24 ore) senza sapere che con quelle cifre fatichi a competere sul mercato e soprattutto che ci sarebbero anche dei costi di gestione da sostenere, e non solo l'eldorado del calciomercato che piace tanto ai tifosi. Pare che il titolo del 22 maggio sia dimenticato: Maldini e Massara improvvisamente deludono la piazza, Inter e Juventus si rinforzano (come? Con il ritorno di Lukauk che forse tra un anno se ne andrà, e con Di Maria, bel giocatore, ma che costa 7 milioni di ingaggio per una sola stagione?) e allora noi dobbiamo fare altrettanto. Follie.

In questo coro di lamentele e di impazienza per una trattativa lunga, come se ogni trattativa dovesse chiudersi in due ore, c'è tutto il senso della mentalità del calcio italiano: impazienza, superficialità, poca voglia di approfondire. Un male che si giustifica con “eh ma il tifoso di calcio ragiona di pancia, è bello così”, quando il pallone è anche e soprattutto una materia che va capita; c'è l'incapacità di attendere gli eventi, così come quella di aspettare i giocatori e di lanciare giovani. E poi di sottofondo il solito livore intriso di rabbia repressa, tipico di chi una volta si faceva un giro al bar, per dirla alla Umberto Eco, e oggi naviga nelle bacheche di tutto il web. 

Se c'è un merito che va dato a Elliott è quello di aver riportato nei ranghi una situazione deficitaria figlia degli sciagurati passaggi cinesi mai chiariti, di aver dato spazio in società a persone competenti, le quali a loro volta hanno costruito mattone su mattone una squadra capace in tre anni di arrivare allo scudetto, con lungimiranza e idee, ovvero l'arma che dovrebbe essere sfoderata quando i soldi non ci sono. E comunque, chi accusa il Milan di non aver speso, è in errore: 18 milioni per Maignan, 20 per Hernandez, poi il riscatto di Tomori e ora De Ketelaere, e via dicendo. Ma soprattutto Kalulu a 480 mila euro, con i risultati che abbiamo visto: ed è qui che dovrebbe essere acceso il pilota automatico, ovvero la fiducia incondizionata chi ti ha già dimostrato nei fatti come si può arrivare a risultati di vertice lavorando bene e sotto traccia. Insomma, certe vittorie dovrebbero servire a placare gli animi, ma nel caso della tifoseria milanista hanno riportato a galla un antico tallone d'achille del milanista medio: ho vinto, sono viziato, ne voglio di più. E allora sapete che si dovrebbe fare? Aprire l'armadio e tirar fuori i fantasmi di Fassone e Mirabelli. E allora sì che, forse, la vulnerabilità del milanista medio si placherebbe.

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