A tavola col Bortolo: Ferruccio, Vittorio e quel fritto alla bolognese
Ricordi di incontri con grandi personaggi del mondo dello sport avvenuti attorno ad un tavolo imbandito. Oggi Ferruccio Recchia e Vittorio Vaselli
Dice: la tecnologia. Io me li ricordo, i gettoni del telefono (gialli/ottone con una scanalatura centrale da una parte e due laterali dall'altra). Intanto dovevi procurarteli e ci volevano 50 lire a profusione. Poi alla domenica acceleravano la discesa: la Sip "caricava" sui festivi. E all'epoca, anni '80, non c'erano anticipi e posticipi (per fortuna !).
Così, io, verso il 44esimo, sgattaiolavo dal fondo dei posti stampa (i giovani cronisti erano confinati allora in una tribunetta sotto la tribuna vera, ancora con le colonne. C'era per noi "paria" una orrenda copertura di plastica, forse Eternit, chi lo sa, e quindi tutti i gradini su). Mi piazzavo davanti al telefono a gettone "occupando" militarmente la postazione (see, i cellulari. Arrivano - commercializzati - a settembre del '90).Sbirciavo la fine del primo tempo attendendo il duplice fischio. E via con la chiamata alla diretta di Radio Antenna Uno (102.4. Ora defunta). Il punto è che tra "un attimo" "ci siamo quasi" "tra pochissimo" sfioppavano nella pancia del dannatissimo telefono a parete quasi tutti i gettoni. Ti eri preparato un gran bel discorso ma dovevi accelerare modello Speedy Gonzales. Sennò il discorso usciva troncato.
Perché i gettoni? Erano un pezzo della pluma di Brizzi. A Catania, l'anno dopo, vidi il presidente esplorare tutte le gettoniere dell'aeroporto di Fontanarossa nel tentativo che qualcosa fosse rimasto incastrato. D'altra parte perché stupirsi. Era molto parsimonioso, dormiva sul divano di Casteldebole. Se si legge il bel libro su Barile scritto da Fabio Campisi c'è un' aneddottica amplissima. E strepitosa. Dalle lampadine troppo luminose, i 100 watt della dotazione felsinea furono sostituiti dai molti meno di provenienza scaligera, ai pandori "riciclati", ai panini del pranzo al sacco dei giocatori avanzati e usati come sostentamento personale. Idem il cabaret di paste dell'Impero, cadeau della pasticceria a Barile, che sparirono nelle fauci presidenziali. O le notti passate prima nella sede di Via del Borgo, poi al Centro Galli (allora, solo Casteldebole: e non era la sede, presidiava solo l'attività sportiva. La sede era in centro), dove il divano del piano terra era il misurato giaciglio del veronese. Brizzi, toupet ricciolino (ricordo formidabili acrobazie quando, nella vecchia sede di Radio Antenna Uno, all'angolo tra Via Garibaldi e Via Marsili, il presidente si metteva in cuffia per sentire il live telefonico degli ascoltatori), era un viveur, a suo modo: di lui si ricordano gli impareggiabili foulard alla Gigi Rizzi. E una presentabilissima fidanzata, al di là delle voci che riguardavano scelte sentimentali "alternative": no, no, parco va bene, ma buongustaio in fatto di femmine è un dato cronisticamente innegabile..
Non so nemmeno per quale motivo capitò che io entrai in confidenza con lui, ma soprattutto con il suo diesse Ferruccio Recchia. Probabilmente perché mi introdusse il loro consigliere legale, che era l'avvocato Vittorio Vaselli, un amico.Vissi quella stagione come un prodromo di quella con Maifredi, quattro anni dopo. Gigi era molto più "entertainer" di Ferruccio, i giocatori erano più "da ballotta" ma tante cose erano simili. E, inutile sottolinearlo, vincere aiuta tantissimo.
Si cominciò con tanto scetticismo (idem nell'87, chiaro). Che durò, tanto che Gazzoni, in una dichiarazione dimenticata da tanti, ebbe a dire (a Repubblica), a promozione avvenuta: "Qui gli imprenditori hanno altro cui pensare. Bologna non è una piazza facile, da qui sono partite le piattaforme contro il punto di scala mobile tagliata. Così bisogna avere quattro occhi in azienda. Difficile che qualcuno si imbarchi in una presidenza che va curata a tempo pieno" Ci pensò lui, esattamente nove anni dopo. Fortunatamente poco coerente con sé stesso.
Brizzi provò, ad aprile '83, a evitare la retrocessione in terza serie, doppio capitombolo in dodici mesi. Ma il liquido che pompò nel club al fine di tacitare i giocatori, riottosi per qualche patto "parallelo" non rispettato, non servì. Lui e Recchia fecero - doverosamente - piazza pulita, dalle bandiere Cervellati e Bulgarelli impietosamente congedate (ma entrambe, ahimè, compromesse con l' "ancien regime" fabbrettiano) ai giocatori, inclusi i prodotti della cantera, ovvero Colomba, Zinetti, Macina e Boschin. I nuovi arrivi erano tutti perfetti per la categoria, dal mister Cadè (ombroso e perennemente in difesa delle sue prerogative, ma di grande buon senso) a terzini, stopper e liberi, mediani, regista, mezzala d'attacco. La ciliegina fu bomber Frutti, per la terza serie altra categoria.
Comunque, tanto Brizzi era "tirato" quanto Recchia generoso: una volta a Pisa mi portai mia moglie, allora solo morosa, e lui non sentì ragione. Fu ospite anche "Gullit", ovvero Guglielmo Giordani, allora cronista radio tv. Non riuscivi proprio a metter mano al portafoglio. Ed era rispettoso del lavoro dei giornalisti, al di là di una cultura modesta e di un senso pratico pallonaro imparato nelle turbolente (allora molto più di oggi) periferie meridionali, da Avellino in giù. Brizzi andava anche abbastanza per conto suo, io, Recchia e Vaselli facemmo subito gruppo. Venivo dall'ostracismo (uno dei tanti del mio percorso !) fabbrettiano, tutta la vecchia guardia giornalistica gli si scagliò contro solo a cadavere fumante (vi ricorda qualcosa di più recente ?) e io ero l'unico, more solito, grillo parlante. Solo che avevo 25 anni ! Beh, essere ammesso "a corte" fu un bel salto. Che mi servì, tanto: compresi dinamiche che poi mi sono portato dietro. Con profitto. Vidi il calcio con gli occhi dei dirigenti. E realizzai, già allora, che sono le scelte del proprietario che condizionano tutto, e che per un direttore sportivo il concetto di competenza è veramente tanto relativo. Oh, per inciso, Recchia la C la conosceva alla perfezione. Già il salto in B lo patì, lo si vide dalla lite con Santin e dalla debolezza verso Marocchino. In A non ci sarebbe entrato in niente: troppo peso all'immagine.
Vaselli, un bel tipo. Ignaro o quasi del pallone. Lo portavano in panchina, e lui confessava "non si vede un c...!". Poi "a un certo punto tutti si alzano esultanti, io faccio uguale e bamm, capocciata al tetto della panchina !".
Beh, per farla corta, con Ferruccio e Vittorio avremo mangiato..20 volte. Almeno, Ma il desco del 16 settembre '83, data di inizio del campionato di B, fu memorabile, a suo modo.
Appuntamento in sede a mezzogiorno. I "tre dell'Ave Maria" più Nando Macchiavelli. Il quale all'epoca era un dominatore dell'etere. Gara prevista alle 16, era estate.
Dove si va, ognuno dice la sua sulla cucina patavina, finché Vaselli non salta su e fa: "ma scusate, c'è tutto il tempo, andiamo al Pellegrino, a Porta Santo Stefano, in un'ora mangiamo benissimo, autostrada e alle 3 siamo all'Appiani - lo stadio nuovo era ben lontano dall'essere progettato - ".
Ora, la Bologna delle forchette all'epoca era ben diversa. Pochissimo turismo, nessuna cucina veloce, pizze solo la sera e non più di 5/6 pizzerie in tutta la città. La ristorazione era fatta da pochi e sicuri locali tradizionalissimi: Pappagallo, Diana, Rodrigo, Cesari,Tre Frecce, Cordon Bleu, Nello, i Franco, La Braseria, Bertino (e pochi altri), si contendevano il centro.
Il Pellegrino era ed è subito fuori le mura. Eseguiva alla perfezione il "fritto alla bolognese" (altro re del piatto era Pedretti a Casalecchio), quel trionfo di panature su ogni cosa: mele, sedani, fragole, carne, zucchine, crema. No, il tortellino fritto che oggi, per dire, si degusta da ViVo non esisteva. Comunque, quel trionfo di petronianità fu il nostro saziantissimo piatto unico. Eravamo felici, in quel pranzo.
Il locale si reggeva su Andrea Morotti, un personaggio come è stato Max di Nonna Aurora. Quel giorno - eravamo i primi clienti a sedersi - ci fece compagnia, e l'oretta passò in fretta. Poi ai 200 verso Padova: allora si poteva, sul Mercedes di Ferruccetto.
Come finì il ri-debutto in B? Male, 2-0 per loro, gol di apertura di Loris Pradella, da lì a poco il nostro centrattacco. Come finì il campionato? Male, ci salvammo con una partita arrangiata a Varese, Brizzi e Recchia da tempo ai ferri corti. Era già arrivato Corioni, anticamera della cavalcata maifrediana.
Come finì Morotti? Purtroppo malissimo. 19 giorni dopo un rapinatore lo freddò nel suo locale. Sparì tragicamente un bravo ristoratore.
Io nel frattempo ero cresciuto. Non tanto da evitare sciocche impuntature frutto di diffidenza. Osteggiai Maifredi per poi diventarne buon amico. E mangiarci un totale di volte, of course. Ma questo ve lo racconto la prossima volta.
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