Il ricordo di Gianni Marchesini a Gianfranco Civolani, uno dei decani del giornalismo sportivo bolognese scomparso il 3 novmebre all’età di 83 anni

-di Gianni Marchesini-

Ho visto il Civ l’ultima volta il 12 luglio scorso. Sapevo della malattia, naturalmente. Ma volevo coinvolgerlo nella realizzazione del libro sugli ultimi 10 anni del Bologna. Lo sentivo come un dovere, e lui aveva risposto con entusiasmo: lo aveva gratificato, lui “solista” per eccellenza, far parte dell’affiatatissimo gruppo di lavoro (con Adalberto e Alberto Bortolotti, e il sottoscritto) che aveva realizzato “Bologna, un secolo d’amore” nel 2009 per i 100 anni rossoblu. Per quel libro ci aveva regalato un articolo sublime: un racconto quasi confidenziale, personalissimo, del suo rapporto viscerale con il Bologna, da sempre e per sempre parte importantissima della sua pur poliedrica e pienissima vita, con Bologna, con un mestiere fantastico e i suoi tanti ricordi. Era giusto averlo con noi anche questa volta. Ma la malattia l’ha impedito. E’ stato un primo addio, il primo dolore per un addio che oggi la sua scomparsa rende acutissimo. Non era un tipo facile, Gianfranco. Oggi tutti gli rendono (doveroso) omaggio. Ma per anni è stato sulle scatole a molti, e con molti ha baruffato. Non gli piacevano proprio tutti, a cominciare dai colleghi. E non faceva nulla per nasconderlo. Ripensandoci, personalmente non ho mai avuto una discussione con lui. Anzi. Quella mattina del 12 luglio l’ho visto ferito dal male, non vinto ma fiaccato. E mi ha colpito un gesto di affetto nei miei confronti: “Mi raccomando, tieni controllata la tua salute”. Un gesto che mi aveva ricordato le sue parole di quasi 40 anni prima, in risposta a un mio sfogo per questioni sul lavoro con un collega. “Non dare peso: ognuno vola con le proprie ali. Tu pensa a irrobustire le tue”. Parole sagge, da fratello maggiore direi. E il Civ le sue ali le ha dispiegate pienamente. Fino a diventare un personaggio nel nostro bizzarro mestiere. Ben prima che la tv ne amplificasse l’immagine, fino quasi a distorcerla, per il nostro circo itinerante lui era già il “Civola”, l’amico sulle stramberie del quale si poteva scherzare, il collega che gareggiava in bravura con i migliori, inimitabile per lo stile personalissimo. Fra i mille ricordi quello di Messico 1986, il Mondiale durante il quale tutti fummo colpiti dal morbo di Montezuma. Tutti fuorchè il Civ che, procedendo a mele e biscotti, non si era infettato con l’acqua messicana. E poi, naturalmente, i tre libri realizzati, lui come autore e io come editore. Sempre con enorme divertimento, sempre in grande sintonia. Perché lui sentiva che il rapporto era fra colleghi, accomunati dall’amore per il Bologna, per il mestiere, per il rigore, per la conservazione della memoria, che lui aveva prodigiosa. Un rapporto di stima reciproca. E, riguardando a quei tempi, direi anche di affetto. Perché il Civ - al di là delle espressioni burbere, sempre mitigate dall’ironia e dalla goliardia tutta petroniana - sapeva dare affetto, almeno alle persone per le quali provava stima. Penso di essere stato fra quelli. E per questo Gianfranco mi mancherà doppiamente.
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