Pubblichiamo integralmente l'omelia di Don Massimo Vacchetti pronunciata in occasione del funerale di Alberto Bucci Avevo sentito Alberto la settimana scorsa. La sua voce era provata. Mi ero ripromesso di chiamarlo di ritorno da un viaggio all’estero. Non ce l’ho fatta e la notizia della morte di Alberto mi ha lasciato così…con il desiderio di rivederlo. Porto nel cuore le sue ultime parole che erano come l’eredità di ogni conversazione con me, ma ho capito poi con tanti, con tutti. “Ti voglio bene”. E aggiungeva – forse questo pensiero era riservato a me – “se puoi pensami”. Mi ricorda quanto disse uno accanto alla croce di Gesù, inchiodato come Alberto, alla sua croce: “Ricordati di me”. A Lui Gesù rispose: “Oggi sarai con me in Paradiso”. Ecco, Alberto quella telefonata che non ti ho fatto spero di poterla compiere abbracciandoti per la gioia di vivere insieme la Vita Eterna che Cristo ci ha conquistati. Lui è il Vincitore dell’ultima grande sfida che è la morte. Noi siamo vincitori di tante piccole battaglie e partite, segno della Sua Vittoria. In molte delle grandi vicende della vita, invece ne siamo sconfitti, segno della nostra povertà (oltre che in ambito sportivo della bravura degli avversari) e della nostra incapacità e dei nostri errori. Ma tu l’avevi compreso…l’errore non è mai la cosa più importante, così come il peccato non definisce mail la persona. La sconfitta può nascondere un grande bene. Il limite può essere una forza se mette in moto la speranza di una vittoria futura. Si può vivere affrontando i propri limiti e la coscienza della propria fragilità, avendo la speranza che in Gesù Cristo tutto si compie e la Vita vera ci attende, al di là della morte. Il Vangelo di oggi ci consegna lo sguardo certo di Gesù dinanzi ai discepoli che gli chiedono di insegnar loro a pregare. “Quando pregate dite…Padre nostro…”. Che cos’è la preghiera se non la certezza che qualcuno ci ascolta e che cos’è la preghiera cristiana se non la certezza che ad ascoltarci è un Padre buono? Noi abbiamo un Padre. Questo pomeriggio Rossella, Beatrice, Annalisa, Carlotta e noi tutti abbiamo la certezza di avere un Padre buono a cui chiediamo – lo abbiamo fatto in molti modi in questi anni di malattia di Alberto – che ci liberi dal male. Continuiamo a domandargli di liberarci dal male. A noi di darci la salvezza del cuore e ad Alberto la salvezza di chi vive in Dio. Ma che cos’è un padre? Chi è un padre? Ecco, vorrei semplicemente dire due cose semplici. Un padre è uno che ti vuole bene. Uno che ti stima. Uno che è certo che tu hai un potenziale, magari ancora inespresso, ma crede che abbia un talento dentro. Un padre è uno che ha fiducia in te. Alberto aveva questo tratto di padre. Oltre all’allenatore faceva il life’s coach, cioè uno che guida alla vita, uno che accompagna a tirare fuori il meglio di sé, uno che ha stima della persona che ha davanti, uno che ha a cuore la bellezza che sei tu. “Ti voglio bene” mi ha detto nell’ultima telefonata. Lo ripeteva spesso. “Sei una brava persona”. Alberto era un padre. Aveva stima dei suoi collaboratori, dei suoi giocatori, delle persone di cui si circondava. Sapeva che tu non solo hai un bene da offrire alla squadra, agli altri, ma sei un bene. Riconosceva il bene che sei. La seconda caratteristica di un padre è il coraggio. Il coraggio di chi sa guardare con positività alla vita, alla realtà. Non basta il coraggio dell’affronto. Serve il coraggio di chi sa che ciò per cui sta combattendo è qualcosa di straordinariamente bello e buono. Un padre accompagna i suoi figli spingendoli fuori da sé, un padre incoraggia i figli a fare la propria strada e per farlo indica che la strada, per quanto insidiosa possa essere, è bella. Un padre ha la consapevolezza che la vita è meravigliosa e promettente un bene anche quando non lo si vede, anche quando il male sembra dominare. Un padre sa regalare ai figli uno sguardo positivo perché la vita vale la pena di essere vissuta, affrontata, sfidata specie quando i fattori avversi sembrano prevalere. Alberto aveva le qualità di un padre. Lo faceva con i giocatori che ha allenato, lo faceva con se stesso guardando al suo limite fisico non come ad un motivo per lamentarsi – neanche non te ne accorgevi che avesse un limite – così come a riguardo del male che lo ha aggredito. Alberto non ha lasciato che lo splendore della bellezza della vita si offuscasse. Ha regalato a Rossella, alle figlie uno sguardo sulla realtà come di chi è certo che la vita è fatta da Dio, protagonista nascosto di ogni circostanza. E se anche non tutto si capisce, aveva la certezza di una meraviglia presente che non viene meno. “La vita è meravigliosa”. I suoi familiari hanno desiderato riportare questa espressione sul retro della sua immagine-ricordo. La certezza di un Padre così nell’alto dei Cieli ci offre la speranza certa di ritrovarci. Che tu possa ora vedere la meraviglia di Dio che hai cercato e intravisto nella meraviglia della vita. Ah, dimenticavo…ti ho voluto bene, Alberto. Ti abbiamo voluto bene anche noi.
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