Talvolta a vincere o a morire si scelgono sempre i tempi sbagliati: Sinner vince il suo primo Master 1000 ma ha la sfortuna di farlo nello stesso giorno delle dimissioni di Mancini da CT della nazionale italiana, mentre il grande, grandissimo Carlo Mazzone se ne va nel giorno in cui si inaugura il nuovo campionato, di cui il giorno dopo c'è immediatamente bisogno di raccontare i risultati. E così per entrambi niente prima pagina: devo ringraziare “Tuttosport” che ha dedicato una bella foto e un bellissimo titolo a Sor Carletto. Gli altri quotidiani invece, sportivi e non, potevano far meglio.

La scomparsa di Mazzone mi ha fatto profondamente riflettere su quanto il cordone ombelicale che legava questo calcio a quello di un tempo sia davvero profondamente reciso. Ma non è una scoperta, d'altronde. C'è altro a dispetto dell'Arabia, dei soldi, delle formule bislacche dei tornei o del Mondiale in Qatar d'inverno: è che al giorno d'oggi persone così sarebbero fuori moda, fuori contesto, fuori tutto. 

Mazzone è stato ricordato nelle retrovie, nel senso delle pagine dei quotidiani, e anche con la solita retorica: quella volta che disse a un suo giocatore di non andare all'attacco perché tanto di gol ne aveva segnati solo quattro in tutta la carriera, oppure il rapporto con Baggio o ancora l'aneddotica sul suo accento romanesco che è stata manna dal cielo per “Mai dire gol”. O quella volta che cacciò il giovanissimo Totti da una conferenza stampa per proteggerlo dall'assalto dei cronisti, lui appena affacciatosi sulla ribalta. Insomma, cose che sapevamo.

E poi il 30 settembre del 2001, la sua perla assoluta: quella corsa sotto la curva degli atalantini dopo il famoso gol del 3-3 del suo Brescia. Soltanto un paio di righe dedicate al padre che nemmeno si era accorto del suo debutto in A (lo informarono gli amici del bar), o del suo rapporto con Ascoli o dell'avventura al Lecce. O di quella volta che criticò il pubblico di San Siro dopo un Milan-Roma: “Prima era un po' più signore, ora si attacca alle piccole cose”. 

Oppure il Mazzone che con il Bologna raggiunge le stelle e le stalle: semifinale Uefa nel 1999 contro il Marsiglia, finita con un rigore regalato e una maxi-rissa, retrocessione nel 2005 quando in aprile i rossoblu lottavano per andare in Europa. Oltre l'aneddotica, oltre il romanismo, oltre le battute, c'è un uomo buono, carismatico, leale, trasparente. Ovvero tutte qualità passate in soffitta al giorno d'oggi. E' stato come Rocco e Ancelotti: un allenatore sì, ma un padre per i giocatori. Non so quanti padri esistano oggi sulle varie panchine.

Quelle sue dichiarazioni così restate nella memoria, oggi non sarebbero più battute ma “frasi al vetriolo”; quella corsa in Brescia-Atalanta occuperebbe ore e ore di trasmissioni per capire dove penderebbero le colpe, se più sul provocato o più sui provocatori. Tutto sarebbe vivisezionato, analizzato, scomposto, investito di “caciara” per dirla proprio come piacerebbe a lui.

E allora ci piace pensare che Carlo Mazzone se ne sia andato sì ieri, ma in fondo da un bel pezzo, perché certamente il tempo passa ma anche perché questo calcio non era proprio il suo. Continuava a non perdersi una partita, a restare nel silenzio come solo gli umili fanno, per non sottrarre tempo a quella famiglia a cui aveva già negato tante domeniche a causa delle sue 700 e più partite alla guida dei vari club che ha allenato. 

Mi sarebbe piaciuto vedere sui giornali una apertura una intera su Mazzone, un tributo necessario per far capire a queste nuove generazioni tutte prese dagli “expected goals” cosa era davvero il calcio sino a non molti anni fa. “Un calcio che non c'è più”, si dice quasi ogni giorno, centomila volte, e ancor di più in queste occasioni. Sì, ma eccetto alcune cose che non possono proprio tornare, non ci vorrebbe poi nemmeno tanto a recuperare un po' di quella umanità che nonostante il tempo scorra, non è cosa che passa di moda intorno a un pallone. A proposito: “Chi porta palla la perde, e poi la rincore”, diceva. Eh, Carletto, mi sa che di palle questo calcio nostrano così deturpato e finito in un vicolo cieco, ne ha perse davvero troppe.

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