Ci sono due nomi, che prima occupavano - legittimamente - la scena rossoblu, scomparsi dai radar nelle ultime, travolgenti settimane. I nomi sono quelli di Marko Arnautovic e Joey Saputo. Al primo erano aggrappati le flebili sorti tecniche di un Bologna impaurito, tossicchiante, scombinato e pochissimo profondo, che giocava un calcio sparagnino e utilitarista - una sorta di Juventus dei, molto, poveri - raramente foriero di soddisfazioni, più spesso latore di prestazioni al di sotto di una pur minima decenza. Una squadra improponibile difesa da una sorta di bunker di fedelissimi che rinnegavano l'essenza del calcio, ovvero divertirsi e godére - con l'accento sulla e - almeno alla domenica (e giorni limitrofi, di questi tempi). 

Con Arnautovic collocato nelle salmerie oramai da quasi quattro mesi (e forse sull'uscio a fine primavera, fondamentalmente per ragioni di budget: presentissime, quell'ambito è cambiato zero), sono scomparsi anche i luogotenenti del povero Sinisa, tenuto a bagnomaria da una presidenza e dirigenza inermi nel periodo del declino del carneade Pippo Inzaghi, esaltatissimo, quest'ultimo, dai dotti del Tempio all'epoca delle fanfaronate tipo "Fire and Desire". Per un mese Mihajlovic attese una chiamata che non arrivava, poi ci pensò la squadra a suonare i campanelli giusti quando si palesò il Real Frosinone. La malattia che arrivò presto, troppo presto, collocò poi sul proscenio le romantiche figure di Tanjga e De Leo, a cui è giusto augurare le migliori fortune, e che qui da tanti vennero scambiati per interessanti prospetti da future panchine di qualità. Nulla è certo, magari succede, ma c'é stato persino un momento in cui la follia petroniana - nei paraggi deve essere veramente caduto un meteorite, dalle conseguenze che si vedono - ha disegnato per loro un futuro immediato da head coach. Ecco, ci è andata meglio seguendo un percorso più tradizionale. 

Io non so se e quando Thiago Motta ascenderà al soglio interista o parigino. Di sicuro ne è passata di acqua sotto ai ponti dopo l'1-6 di dicembre a San Siro. Allora Inzaghi, quello bravo - in panchina -, era al settimo cielo, e il nostro "testone" (o zuccone, fate voi) ancora sull'orlo dell'abisso. Oggi le parti sono rovesciate, ma se per caso la Beneamata vince la Coppa Italia e noi il Torneo dei Bar di ulivieriana memoria tutto è rimandato di almeno 12 mesi. Francamente faccio il tifo per questa soluzione. Mi fido ancora il giusto del cambiamento di pelle che pare sia avvenuto in società. Non bastano quattro mesi. Riparliamone quando partono i lavori del Dall'Ara, per dire.

Che ci siano stati una logica e un metodo nella scelta del tecnico è peraltro verissimo. Lo ha spiegato Giovanni Sartori in una bella intervista resa al collega del Carlino Gianmarco Marchini. L'Atalanta dirotta allo Spezia tre giocatori. Li segue e si accorge che il tecnico è bravo. Per cui è semplice, se invece di dire "progetto" e non associargli nulla di concreto, ma solo il fideistico applauso dei talebani, si dirottano De Silvestri, Pyythia e Raimondo al Feralpi Salò - è un esempio: può anche essere il Catania - e li si segue, si otterranno dati sul futuro Thiago Motta. La "Atalanta way" è anche questo, non solo vendere, magari al primo che si presenta. E, sicuro, avere o non avere Sartori fa differenza. Bravi a portarlo a casa.

Ma il merito di Motta è gigantesco, giacché, tornando ab ovo, il secondo nome scomparso è quello di Saputo. I successi sul campo, attesi come l'acqua nel deserto, rendono superfluo ogni dibattito sulla proprietà. La quale, così, per ricordare, ha consentito un faraonico mercato di riparazione che ha portato qui una riserva del Sassuolo. Saputo plumone, ecco la riprova. Però costui, il greco, sta facendo più che bene. Sul punto di meriti di Sartori ne vedo pochini, così come l'utilizzo di tutta la rosa, comprese le pieghe più nascoste. L'ex diesse atalantino è però molto più aziendalista e "accorto" dei "bomber" che c'erano prima e forma con Motta una coppia perfetta. Meno protagonista di Corvino e meno auto-elogiativo di Sabatini, il capo dell'area tecnica non può fare ombra a Fenucci, Di Vaio e al proprietario. Il quale mi pare peraltro contentissimo di non essere esposto. Finalmente le cose hanno preso, dopo tante curve, un rettilineo quanto meno interessante e di prospettiva. Non è poco. 

E' tornato di attualità il libro editato e scritto da Gianni Marchesini sulla "Saputo era" e a cui io e mio zio Adalberto abbiamo contribuito, assieme a giovani colleghi. Lo stavamo chiudendo quando, il 6 settembre, Sinisa è esonerato. Il 29 lo presentiamo all'Ordine dei Giornalisti e qualche giorno dopo ai tifosi all'ARCI San Lazzaro. Già le cifre erano brutte, poi il debutto del nuovo tecnico corrisponde a 1 punto in 4 partite. Che risorgessimo, non era propriamente prevedibile. Che se ne faccia un altro, elogiativo, è possibile, ma dipende solo dai padroni del vapore. Il padrone, in specifico. 

Gòdere, il manifesto del thiagomottismo, ha soppiantato finalmente lo stantio e inveritiero "We are One". La centralità della palla, la fungibilità dei giocatori, il tratto da ricercatore universitario, sono concetti e atteggiamenti che si fisseranno nella nostra storia. Ce ne ricorderemo, e d'altra parte lui sa che la città gli saprà essere riconoscente anche quando sarà volato via. Al posto del Mancio, di Tuchel o del Pep poco importa. Troverà anche a Monaco e Manchester quelli che gli vogliono dettare la formazione? Può essere. 

Già, come si dice in inglese e in tedesco "sopravvalutato"? Forse non esiste nemmeno, la traduzione. 

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