Il Torino ha conquistato la terza vittoria consecutiva (la seconda senza subire gol). Contro l'Inter la formazione di Mazzarri ha interpretato al meglio il modulo vincendo molti duelli a centrocampo e riconquistando la palla con un pressing quasi perfetto. Ljajic a segno, Sirigu migliore in campo

-di Alberto Gervasi-

Il Torino non avrà sicuramente dominato, ma gli applausi scroscianti a fine gara sono stati la conferma che, prima del pubblico, è stata la squadra a crederci. Poi la grinta, il pressing, il gioco e il cinismo hanno aiutato a raggiungere e portarsi a casa un risultato meritato, ma è partito tutto dalla concezione mentale di poterci riuscire. Così diceva già dalle prime settimane il tecnico Walter Mazzarri, ex senza dente avvelenato che ha glissato sulla vendetta personale ma non è riuscito a nascondere un sorriso soddisfatto a fine gara. I granata hanno imbrigliato l’undici di Luciano Spalletti, che a fine gara si è limitato a un plauso al portiere Sirigu e ad analizzare le ragioni di questa sconfitta: il Torino non sarà stato superiore per occasioni create, ma è stato pratico non appena riconquistata la palla, lesto nel verticalizzare e asfissiante nel pressing. Ha giocato semplice, come piace al suo tecnico, e ha conquistato tre punti che pesano e peseranno nell’economia di un calendario che di certo non sorride, ma fa ben sperare. Una vittoria contro un avversario che in questo momento è la quinta forza del campionato è anche uno step completato nel percorso di crescita. Torino umile e predisposto al sacrificio, come non si era mai visto in stagione. Consapevole del più alto tasso tecnico dell’avversaria, ma mai domo e sfrontato nelle uscite palla al piede di Ansaldi e Obi, nel pressing sfrenato di Ljajic e nella solidità difensiva di Burdisso, N’Koulou e Moretti. Mazzarri nel 3-4-1-2 non ha lasciato niente al caso: la prima pressione era del trequartista, poi i centrocampisti e infine gli esterni a soffocare i tentativi dell’Inter di giocare sulle fasce. Certamente le occasioni del primo tempo per i milanesi sono nate dagli esterni, ma tutto sommato i granata non sono quasi mai stati schiacciati.In fase difensiva il modulo evolveva in un 4-4-2 più scolastico, con De Silvestri retrocesso in difesa, Moretti allargato sulla sinistra, Ansaldi e Iago Falque ai lati di Obi e Baselli (partita di grande solidità) e Ljajic a suggerire per Belotti. Il capitano, dopo la scorpacciata contro il Crotone, non ha lasciato il segno sul tabellino dei marcatori, ma ha corso, sudato, lottato e fatto a sportellate con la coppia difensiva avversaria Miranda-Skriniar che di certo non eccelle per buone maniere. In fase di spinta, Ansaldi è stato lasciato più libero rispetto a De Silvestri, più portato alla copertura e prezioso sulle palle alte. Quando, nella ripresa, l’Inter ha inserito Rafinha per Candreva, più che il gioco è aumentata la confusione. Il brasiliano e Borja Valero hanno finito per pestarsi i piedi in costruzione, svuotando il reparto avanzato che è stato subito rimpinguato dall’ingresso di Karamoh per l’ex Fiorentina. Il Torino, quando ha capito di dover soffrire, non ha lesinato di riempire l’area di rigore nel tentativo di respingere gli attacchi: il quadro tattico è mutato in un più prudente 5-4-1 con Ljajic esterno in linea coi centrocampisti ed Edera (nel frattempo subentrato a Falque) dall’altro lato. L’Inter, come insegnano le statistiche e le precedenti 30 giornate di campionato, ha cercato di costruire dalle retrovie ma ha finito per allargare il gioco e ostinarsi a cercare la via del gol con le decine di cross in area; il Toro, con 4 ottimi saltatori (il trio difensivo più De Silvestri), ha respinto tutti gli assalti, giganteggiando in alcune occasioni. L’unico rammarico è stato forse quello di non aver chiuso la partita, dato che in fase di ripartenza l’avversario ha accettato il 4 contro 4 e si poteva essere più pericolosi. Sarebbe stato troppo, perché ai punti l’Inter avrebbe meritato il pari o qualcosa di più. Nella testa, però, e nelle gambe, non sempre a vincere è il più forte: il Torino potrà pensare serenamente (ma non troppo) al finale di stagione, senza obiettivi sulla carta ma con tanti sogni nella testa.
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