Torino: con la Juventus un k.o. tattico e mentale. Si salva solo Obi
Il Torino, contro una Juventus cinica e pratica, non è riuscito a mettere in campo la stessa intensità a il pressing che avevano caratterizzato le ultime prestazioni. Belotti servito poco e male, Ansaldi rimandato, difesa da rivedere in alcune circostanze.
-di Alberto Gervasi-
Un passo indietro rispetto agli ultimi risultati, due alle prestazioni. Il Torino ha perso il “derby della Mole” perché non ha avuto tutto quello che si aspettava il suo allenatore alla vigilia: gioco, pressing e intensità. La Juventus ha vinto, invece, perché è stata più forte degli infortuni, ma ha trovato di fronte il miglior sparring-partner per un successo raggiunto con il minimo sforzo. Walter Mazzarri l'aveva preparata con un modulo che avrebbe dovuto garantire copertura in fase di non possesso e densità in mezzo al campo. La posizione ibrida di Ansaldi, centrocampista sinistro prima ed esterno poi, avrebbe dovuto limitare le incursioni di Douglas Costa e la spinta di De Sciglio, e Baselli avrebbe dovuto marcare a uomo Pjanic e stoppare sul nascere le trame di gioco bianconere. Niente di tutto ciò, o meglio, buon Toro nella prima parte di gara, fino all’infortunio di Higuain. L’uscita dell’argentino, infatti, da handicap per la Juventus si è trasformata paradossalmente nel jolly che ha permesso ad Allegri di variare tatticamente e mettere le mani sulla partita: l’ingresso di Bernardeschi ha fatto sì che Douglas Costa giocasse nel ruolo di “falso nueve”, con l’ex Fiorentina sulla fascia destra a creare superiorità numerica. Mancando un punto di riferimento avanzato, con lo scambio frequente di ruolo fra l’italiano e il brasiliano, la Juventus ha dato scacco al Torino e si è presa il 23° derby sugli ultimi 24 disputati. La rete bianconera è nata proprio da un guizzo di Bernardeschi, che ha fatto ammattire Molinaro per quasi tutti i 90’, e Pjanic ha avuto una grande libertà di toccare palla e mettere in condizione i compagni di essere pericolosi.La Juventus non ha creato chissà quanti pericoli alla porta di Sirigu, ma si è dimostrata, ancora una volta nelle difficoltà, squadra solida e pratica. Le due catene laterali, a destra con De Sciglio e Bernardeschi e a sinistra con Asamoah e Alex Sandro, hanno contenuto qualsiasi tentativo granata di allargare il gioco, e il Torino si è riscoperto confuso, senza idee e sbocchi. Poi, se Rincon non ha messo in campo la “garra” delle ultime uscite, e Iago non ha inciso nemmeno quando è stato accentrato, non pare difficile l’insufficienza della prestazione di Belotti, a secco di rifornimenti anche quando Mazzarri ha deciso di puntare (forse in ritardo) su Niang, esteta sì ma poco concreto. Posto che il derby è sempre una gara particolare, e che la Juventus è stata la peggiore squadra da affrontare, il Torino mentalmente è stato in partita poco o niente, impegnato per quasi tutti i 90’ a rimbalzare su se stesso senza creare mai superiorità numerica. Il 4-5-1 disegnato in fase difensiva è durato poco, dato lo svantaggio e l’ora di gioco rimanente che imponeva di attaccare, ma con raziocinio. L’ingresso di Niang per Baselli, e quello di Acquah per un eccellente Obi, hanno dato alla squadra una piccola scossa, ma il 4-2-3-1 non ha dato i suoi frutti, causa centrocampo in inferiorità numerica rispetto agli avversari e Iago trequartista troppo poco a suo agio. Mazzarri ha dirottato Ansaldi alto a destra, a conferma della duttilità del calciatore, rinunciando però sia a Berenguer che a Ljajic (zero minuti da quando il tecnico toscano è in panchina) con l’ingresso del giovane Edera al rientro da guai fisici. La rete di Alex Sandro cancella la carrellata di clean sheet casalinghi, e costa la prima sconfitta dell’era “mazzarriana”. L’impegno era senza dubbio il più difficile, ma ciò che è mancato non è solo da circoscrivere al gioco in campo. La sconfitta non ridimensiona la classifica dei granata, complice lo stop dell’Udinese, il pari di Bergamo e l’inevitabile perdita di punti di Sampdoria e Milan. C’è ancora tanto da lavorare per portare avanti il processo di assimilazione, da parte della squadra, dei dettami del suo allenatore. Le prossime gare, a Verona contro l’Hellas e in casa con il Crotone, dovranno essere vinte con la testa più che con i gol.
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