I giornalisti di un tempo. Adalberto Bortolotti ricorda Giuseppe Pistilli: la classe non è acqua
Il ricordo del giornalista Giuseppe Pistilli tra le trasferte al seguito della Nazionale e la passione per l'ippica
- di Adalberto Bortolotti-
I lettori mi scuseranno, spero, se rubo un po’ di spazio alle vicende che giustamente più li appassionano per ricordare qui un caro collega, meglio un amico, un fantastico compagno di strada, che in questi giorni ci ha lasciato.Giuseppe Pistilli, molisano d’origine, ha svolto tutta la carriera al Corriere dello Sport e gli affezionati cultori di Stadio hanno avuto la fortuna di conoscerlo e automaticamente di apprezzarlo dopo la fusione dei due quotidiani sportivi, quello romano e quello bolognese. Del Corriere è stato vicedirettore, nella memorabile gestione Tosatti, e prima firma del calcio. Aveva una paio d’anni meno di me e quando militavamo sotto diverse bandiere abbiamo condiviso tanti servizi in giro per il mondo, sposando sempre la logica della concorrenza con la più assoluta correttezza. D’altra parte, Peppe era tale signore nei modi e nella sostanza, che tutto gli avresti potuto fare tranne che uno sgarbo. Ricordo una lontanissima trasferta a Nottingham, unici giornalisti al seguito di una Under 23 azzurra che proponeva come promettente prospetto tale Pietro Anastasi, per dire quanto tempo è passato. Poi erano venuti Mondiali ed Europei, le serate a parlare di calcio, a pendere dalla bocca dei nostri miti dell’epoca, i Brera, i Ghirelli, i Bardelli, sino a poco a poco trovarci, da giovani apprendisti, a nostra volta oggetto di attenzione dalle ultime leve. Pistilli scriveva con la lucida semplicità del grande giornalista, condita da guizzi di creatività e di sorridente ironia. Era, come molti della nostra generazione, un convinto italianista, sul piano tattico, e la nostra lunga amicizia fu resa più solida dal ritrovarci, in vistosa minoranza, non proprio contagiati dall’adorazione per il sacchismo imperante. Credo, per fare un esempio, che nessuno dei due abbia mai usato il termine “ripartenza”. Vuoi mettere, ci dicevamo, l’elegante immediatezza del vecchio contropiede? Tanto, sempre di quello si tratta e molti credono di cambiare le cose solo cambiando loro il nome. Amavamo entrambi l’ippica. Una volta, in trasferta a Vienna con la Nazionale, trasmesso al giornale l’articolo della vigilia, mi feci portare da un taxi all’interno del parco del Prater dove mi avevano detto che sorgeva un ippodromo di trotto. Entrato circospetto, la prima persona che vidi fu Peppe, che aveva avuto la stessa idea e stava provando, in un improbabile tedesco, di farsi accettare una scommessa da un bookmaker. In questo campo lui era andato oltre, aveva anche acquistato qualche cavallo perché quel mondo lo affascinava. In una delle nostre ultime telefonate parlammo forse più a lungo della crisi dell’ippica italiana, che delle (presunte) novità del calcio moderno. Che la terra ti sia lieve, Peppe. La vecchia congrega si assottiglia, però che bei tempi sono stati.
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