Intervistato da Calcio Lecce, l'ex difensore Marco Cassetti, ha parlato della sua esperienza nel club pugliese tra le fila di una leggenda del nostro calcio: Zdenek Zeman. Il boemo allenò Cassetti proprio tra le fila giallorosse. Ecco un estratto delle sue parole:

"Il primo approccio con Zeman quando mi propose di arretrare a terzino? Bruttissimo, e vi spiegherò. Non torno sui metodi duri di preparazione, devastanti. Fu il mese più lungo della mia vita tra corse e gradoni. Mangiavamo qualcosa di nascosto. Tutto era proibito. Si mangiava pochissimo, soprattutto i primi giorni. Mangiavamo passati di verdura e poco altro. Ci dicevano che erano giorni importanti per pulire l’organismo Di nascosto, compravamo qualcosa al supermercato

Ricordo le prime amichevoli nel post-ritiro a San Giovanni Rotondo. Dovevamo giocare queste gare e io non giocavo. Io già non avevo preso bene il cambio di posizione da centrocampista a terzino. Con Delio Rossi ero sempre nell’area avversaria, mi piaceva star lì. Zeman, giustamente, però mi ha adattato lì anche se non mi garbava la cosa. In più, noi due non ci prendevamo all’inizio. Spesso litigavamo e questa cosa delle amichevoli a San Giovanni Rotondo non mi andava giù. Chiamai Corvino dicendo ‘direttore dobbiamo sistemare ‘sta cosa, se sono d’intralcio sistemiamo e vado via’. Il d.s. mi rassicurò sulla visione che di me aveva ZZ. Dopo la chiamata andai dal mister e ricevetti la sua fiducia. Zeman mi disse ‘se quest’anno non arrivi in Nazionale sei un giocatore fallito, hai tutte le capacità per poterlo fare e mancare l’azzurro sarebbe una delusione‘. Da lì cambio tutto, dal mio approccio al ruolo ad altri fatti. Ed andò bene, come sapete…"

Cassetti ha poi lanciato una frecciata al suo ex tecnico: "Oggi sono un allenatore e, ricordando quella stagione, un consiglio l’avrei voluto dare al mister. La gestione del gruppo di Zeman non era ideale: aveva i suoi fedelissimi e basta. E lo dico da titolarissimo qual ero. Anche i calciatori meno impiegati si mettevano costantemente a disposizione, salvo però sorbirsi delle maniere brusche dall’allenatore. Io, da titolare, provavo a immaginare il loro stato d’animo. Mai presi in considerazione e poi rimproverati. Secondo me, quando si riesce a tenere tutti ben concentrati, in determinati momenti da febbraio in poi, potevamo beneficiare della freschezza di tanti ragazzi e spingere in alto. Giocavamo in dodici-tredici. Eremenko ad esempio faceva la differenza in Nazionale, mentre da noi faceva fatica a entrare negli schemi. Doveva essere lasciato libero di interpretare il suo modo di giocare.”

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