Bologna-Repubblica-Corriere: legittimato l’uso della libertà d’espressione e del giornalismo d’inchiesta
La sentenza dà ragione ai quotidiani citati in giudizio dal club rossoblù nel 2017
Questa è una storia esemplare, una sorta di paradigma dei rapporti tra potente e "posseduto", tra erogatore di informazione e ricevitore della stessa, tra il calcio opulento e televisivo e il sistema mediatico pre-Covid e quindi ancor più debole di adesso (almeno durante il lock down si sono letti i giornali, ora si è tornati a sfogliare i titoli e le foto al bar).
29 luglio 2017, una durissima nota vergata dal Bologna calcio squarcia il web. Questa è la conclusione: "In sintesi: le commissioni in genere vengono pagate a rate finché il giocatore è tesserato per il Club (e in molti casi sono sottoposte a condizioni). Non ha alcun senso quindi, ed è anzi contrario a ogni principio di correttezza giornalistica e di deontologia professionale, indicare cifre complessive, per di più citandole testualmente come intascate, pagate, ecc. Rileviamo il chiaro intento di fornire questi dati “gonfiati” per mettere in dubbio la correttezza e la trasparenza delle operazioni effettuate e pertanto il Bologna Fc 1909 tutelerà l’onorabilità e la reputazione sua e dei suoi dirigenti nelle sedi opportune; per il momento si è voluto dare ai tifosi un quadro realistico della situazione per impedire che questi incomprensibili attacchi a mezzo stampa generino preoccupazione e confusione in chi ha realmente a cuore le sorti del Club”.
In questi casi la chiosa finale fa parte di un copione classico, ovvero la stampa (mica tutta, il nostro mondo è sfortunatamente ricco di camerieri in servizio permanente effettivo) è contro di noi ma i veri tifosi sono dalla nostra parte. E in effetti i social ribollirono di indignazione verso gli "untori", che - more solito - non comprendono gli sforzi, anzi infangano il nome del Club e lo fanno per oscuri interessi di volta in volta editoriali, economici, personali, politici, ecc. ecc.
Come in ogni storia dura, ci sono protagonisti che al momento sono celebri e poi scompaiono: la vicenda, lo ricordiamo, ha riguardato nomi mitici, quali Petkovic, Okwonkwo, Sadiq, Vassallo e Musto, tutti brillantissimi tesserati del Bologna nell'era pre-Frosinone, quando - tra ali di folla plaudente - si magnificavano progetti di là da venire e si impiegavano, per precisa scelta padronale, cifre complessivamente risibili per attori dimenticabili. Repubblica e Corriere scoprono che le commissioni pagate agli agenti potrebbero (non per forza) essere molto alte e lo scrivono, nello stesso periodo in cui il marketing del club si trova sotto accusa per dissidi tra un agente e la struttura di Casteldebole (il procedimento è ancora in essere e questa sentenza cita passaggi di quella vicenda). Visti i nomi e la loro pregnanza nella storia rossoblu, uno potrebbe dire: archiviamo la pratica. E invece no, il tutto, specie la sentenza del giudice, ha un suo senso.
Viene dato un giudizio oltremodo positivo al giornalismo "di indagine". Questa inchiesta si è interrogata su aspetti poco chiari della società calcistica (ancorché, certo, di comunissima attuazione nel mondo del pallone, ma questo non sposta). Contrariamente a quanto sostenuto dal Bologna, l'articolista non ha riportato cose false. Il conflitto di interessi a cui fa riferimento l'articolo non è provato e nemmeno provabile, ma il Giudice ritiene che sia quantomeno verosimile. Il riferimento all'importanza di Roma e dei romani negli equilibri del club è un fatto oggettivo, non si tratta di un'invenzione. L'uso della libertà di espressione è legittimo. Scendendo nel pratico, la spending review sbandierata del Bologna non si applica, in tutta evidenza, alla possibilità di guadagno degli agenti dei calciatori (ma, nota personale, all'acquisto dei calciatori stessi sì, e i risultati, per anni, si sono visti...). L'articolo 21 della Costituzione tutela il giornalismo "di denuncia". La carenza di trasparenza del club - nella fattispecie - sussiste.
E alla fine la sentenza giudica la cosa, a mio avviso, più antipatica di questo "fatterello". Ovvero la richiesta di risarcimento di un milione di euro per danni patrimoniali (non dimostrati). Respinta, d'accordo, ma spada di Damocle per tre anni sulla attività pubblicistica non solo di Repubblica, ma di tutti coloro che fanno comunicazione. Con l'aggiunta dell'annunciato versamento della somma a una Onlus, specifica furbescamente "nobile" in un - tutto sommato - normale contesto "commerciale".
Insomma, benedetto quel Giudice che tutela la libertà di espressione. Non è cosa banale. Se mi è tuttavia permesso un rilievo, a pagina 12 la sentenza scrive che l'inchiesta solleva temi di indubbio interesse per la platea dei tifosi rossoblu.
Dubito che sia così.
Qui la nota integrale del club rossoblù datata 29 luglio 2017