Milan, radiografia di una stagione tra alti e bassi
Mancanza di continuità, infortuni, cambiamenti drastici in società: ma a inizio stagione le cose funzionavano. Conte è davvero l'uomo giusto?
Eliminato dalla Champions League, fuori dalla Coppa Italia, in ritardo in campionato. Inter e Juventus escluse, poiché i nerazzurri sono in testa e i bianconeri non giocano competizioni internazionali, per il Milan, ma anche per altri club nostrani, l'Europa che ripartirà tra un mese pare l'unica ancora di salvezza della stagione o quasi.
Non tutto da buttare
Cominciamo col dire che i bilanci di metà stagione nel calcio non valgono quanto le pagelle del primo quadrimestre a scuola, e che non appena si affaccia la sconfitta ecco che la facile irascibilità della tifoseria non tarda ad esplodere, additando come pressoché unico colpevole chi siede in panchina. E' certo che Pioli sia stato un allenatore molto migliore di altri predecessori sulla panchina rossonera: mortificato da Montella (Supercoppa 2016 a parte), Giampaolo o poco esaltato dal simbolo Gattuso, checché se ne dica, il Milan ha trovato redenzione con l'ex tecnico di Bologna e Lazio, iniziando una risalita che lo ha portato, da dicembre 2019 e da quello 0-5 con l'Atalanta, a vincere un campionato e a tornare soprattutto competitivo per le alte posizioni in classifica come non accadeva da tempo.
Come sottolinea oggi la Gazzetta, uno scudetto, una semifinale di Champions League e la crescita di molti giovani e giocatori quasi sconosciuti (Tonali, Leao, Hernandez), rendono chiaro che l'esperienza di Pioli sulla panchina del Milan non è tutta da buttare. Senza sottovalutare una cosa che agli occhi dei tifosi, così abituati alle urla e agli schiamazzi quotidiani, sfugge sempre, ma è molto importante: mai sopra le righe l'allenatore rossonero, mai fuggitivo dinnanzi a qualsiasi domanda scomoda (poche, per la verità, con l'andazzo giornalistico di oggi), autocritico in più di una occasione.
Milan a due facce
Eppure la gente milanista non gli perdona la confusione tattica, i tanti derby persi, le difficoltà invernali dopo le partenze sprint estive. Perché io stesso forse o ci avevo visto male o mi ero illuso: il Milan che vince a Genova il 7 ottobre va alla pausa per le nazionali in testa alla classifica con 21 punti, senza sapere che quella di Marassi sarà l'ultima vittoria in trasferta per i successivi tre mesi, maledizione spezzata solo a Empoli il 7 gennaio. Il Milan di inizio stagione dava più certezze: segnava, subiva poco, vinceva anche soffrendo, derby del 5-1 a parte. Ma ricordiamoci che dopo tre giorni, nell'esordio di Champions League col Newcastle a San Siro, gli inglesi erano stati bombardati di occasioni, sfumate nello 0-0 finale. Come se quella sconfitta cocente non avesse influito sulle energie mentali.
Le energie mentali, già: ecco il problema principale di questo Milan. Ondivago, altalenante, sia ogni settimana che spesso anche all'interno della stessa partita. Mercoledì a San Siro dopo la rete di Leao è come se si fosse spenta la luce. Si segnalano due tiri di Pulisic e Musah, respinti da Carnesecchi, e poco altro. Poca lucidità, poca determinazione, poca convinzione nell'attaccare come lo stesso Pioli ha detto nel post partita. Il Milan non è mentalmente presente con continuità sulla partita come lo era l'anno dello scudetto, dove riusciva addirittura a ribaltare un derby dove per 70 minuti era l'Inter ad aver giocato meglio.
A Napoli e a Lecce sono arrivate delle rimonte, a Salerno pareva di vedere una squadra completamente svogliata, assente dalla partita, tutta presa a passarsi la palla cento volte senza trovare lo spunto giusto. Ecco un altro grande male di questo Milan: pochi cambi di passo sulle fasce, calci piazzati sfruttati poco o nulla, gioco sotto ritmo e soprattutto molto spesso nessun movimento senza palla. Situazione che mette in difficoltà chi la palla la porta e dovrebbe trovare un compagno pronto a ricevere il passaggio.
Pioli, quale futuro?
Cambiare allenatore a metà stagione non lo trovo molto sensato, tranne in casi drammatici, situazione che non mi sembra quella rossonera. Si scambia sempre il cambio di allenatore come manna dal cielo, situazione che certamente porterà oro su tutto ciò che verrà toccato. E invece a Napoli non è andata così: gli azzurri con Mazzarri sono messi peggio che con Garcia. La verità, al netto delle responsabilità di Pioli che certamente ci sono (avrei azzardato un po' di più e molto prima su Simic o Jimenez, considerato anche il fatto che Theo Hernandez non ha di fatto un sostituto all'altezza sulla fascia sinistra che possa anche pungolarlo a fare meglio in molte occasioni), è che a meno di clamorosi scossoni (la conquista dell'Europa League, magari), se il cammino di Pioli in rossonero è giunto al termine, il popolo rossonero ha già eletto Conte a successore ideale.
Ma siamo davvero certi che sia il nome giusto? Per spronare e dare mentalità, quella che forse Pioli non è più in grado di dare ma che anche i giocatori devono trovare nel loro animo (non può servire sempre l'Ibrahimovic di turno a fare da tutore), è probabilmente l'uomo giusto, ma c'è anche altro. Scomodo, chiassoso e ingombrante, a volte un po' troppo fumantino, Conte potrebbe “imbruttire” il Milan che ha invece necessità di giocare la palla senza rinunciare al suo verbo che lo ha fatto grande. E in Europa? Il curriculum internazionale di Conte parla chiaro: c'è poca vita per le sue squadre nelle coppe europee, al netto della finale persa con il Siviglia quando allenava l'Inter.
Di certo sono discorsi che si riaffacceranno tra un po', a fine stagione o magari alla prossima débacle. Nel frattempo, scomporsi non serve a nulla, anche perché decisioni immediate non ne verranno prese: c'è un secondo posto (per il primo la vedo dura) da inseguire contro una Juventus che marcia veloce, e la sfida al Rennes di febbraio tutt'altro che proibitiva. La pagella di metà quadrimestre è finita. Per la promozione o la bocciatura, ripassare a fine stagione. Nel frattempo non farebbe male un po' di equilibrio, morto e sepolto ormai sotto quintali di sentenze da social network.