Inter, Ziliani difende i neroazzurri: "Il City costretto in difesa è un Aston Villa qualunque"
Il giornalista difende con un lungo tweet la formazione guidata da Simon e Inzaghi
L'Inter non è riuscita nell'impresa: il Manchester City trionfa e alza la coppa ad Istanbul grazie ad una rete di Rodri. La traversa di Di Marco e la successiva respinta di Lukaku gridano vendetta, ma ai neroazzurri non resta altro che leccarsi amaramente le ferite dopo una partita equilibrata. Il giornalista Paolo Ziliani ha voluto esprimere il suo parere con un lungo tweet in cui difende i neroazzurri dopo una partita giocata alla pari:
“Grazie lo stesso Inter, e peccato: hai scoperto tardi che se attaccato il City diventa l'Aston Villa Perdere una finale di Champions, che il Manchester di Guardiola ha comunque meritato, avendo creato più palle gol dell'avversario lascia l'amaro in bocca: bravi lo stesso, servirà da lezione Avendo sempre, o quasi sempre, il pallone tra i piedi, ed essendo lui a fare la partita, si può dire che il Manchester City si difenda attaccando. Quando perde il possesso di palla è bravissimo nel ripartire subito alla riconquista “alta” del pallone con pressing e riaggressioni sistematici e coordinati. Raramente, quindi, i difensori si trovano nella condizione di agire in interventi di difesa estremi, alla Nesta o alla Cannavaro, ed è una fortuna per il City: perchè quando sono costretti a farlo, non si dimostrano all’altezza di Nesta e Cannavaro, o di Baresi e Maldini. Forse per la disabitudine a farlo, sembrano difensori normali. Se messo sotto pressione, il Manchester City diventa vulnerabile. Se c’è un rimpianto, nella finale di Champions persa 1-0 a Istanbul per il gol segnato da Rodri al 68’, è sapere che l’Inter ha avuto tre clamorose palle gol (di cui una doppia con Di Marco, in pratica quattro), negli ultimi 25 minuti del match dopo aver trascorso i primi 65 intenta solo a spezzare e a soffocare le insistite, laboriose azioni dei calciatori di Guardiola. Ha scoperto troppo tardi che se il City lasciato giocare è il City, uno squadrone che ti fa girare la testa, il City costretto in difesa è un Aston Villa o un Crystal Palace qualunque, e persino se lo attacchi con Bellanova e D’Ambrosio in campo. E naturalmente sto dicendo questo con il senno di poi: a farlo sono bravi tutti. E però, la cose sono proprio andate così: il Manchester City ha vinto la finale di Champions attaccando quasi sempre e creando in tutto questo lasso di tempo due sole vere palle gol, quella realizzata da Rodri e quella del 2-0 sfiorato da Foden; l’Inter ha perso la finale di Champions difendendosi quasi sempre e creando, nell’ultimo terzo di gara, la bellezza di quattro palle gol: una di Lautaro, una doppia di Di Marco e una di Lukaku. E detto che la squadra di Pep Guardiola si porta a casa la coppa con totale e assoluto merito sia per ciò che ha fatto nell’arco di tutto il torneo (mai una sconfitta), sia per quel che ha fatto stasera, in bocca ai tifosi dell’Inter resta un sapore amaro: il City è più forte e non si discute, ma siccome il calcio non è una scienza esatta, la sensazione che gli si sarebbe potuto fare più male di quanto non sia stato fatto rimane forte. Qualche minuto prima del gol di Rodri, Akanji, che è bravo ma forse meno di Bastoni, è andato in bambola e ha permesso a Lautaro di presentarsi a tu per tu con Ederson, sia pure in posizione defilata: sparare su Lautaro perchè ha tentato di fare gol invece di passar palla a Lukaku davanti alla porta incustodita non mi piace (l’argentino è stato il trascinatore dell’Inter negli ultimi due mesi), mi limito a dire che Akanji non era Claudio Gentile e forse era il caso di approfittarne. Akanji non era Claudio Gentile, Ake non era Cabrini e persino Ruben Dias - il migliore dei difensori del City - non era Rosato, almeno se messo alle strette come l’Inter, attaccando con decisione, ha fatto negli ultimi 20 minuti della finale. Nella doppia palla gol che Di Marco ha avuto sulla sua testa nel giro di 3-4 secondi, con la difesa del City ferma ad osservarlo attonita, si è addirittura materializzato un tragico déjà-vu: quello della sagoma di Lukaku che come nella finale di Europa League persa contro il Siviglia respinge a un passo dalla porta il colpo di testa a colpo sicuro di un suo compagno (ieri Sanchez, oggi Di Marco). Dopodiché, sempre coi difensori del City a rimirarlo nel cuore dell’area come belle statuine, proprio lui, Lukaku, con 7 metri di porta spalancata davanti incorna il più facile dei palloni spedendolo addosso a Ederson, che con calma, domani, riguarderà in tv come sia stato possibile salvare la Champions con una parata nemmeno pensata. Sto criticando l’Inter? No. Se avesse osato di più nella prima ora di gioco, con attacchi più seri e convinti, magari il City l’avrebbe punita prima. Dico soltanto che il poco tempo trascorso attaccando non è bastato, anche per sfortuna; mentre il tanto tempo trascorso dal City attaccando ha dato alla lunga i suoi frutti; e aver difeso poco, solo nel finale, è stato manna dal cielo per il club inglese, perchè se costretto a rinculare nella sua area il City diventa una squadra come tante. Ricordate Barcellona-Inter del girone eliminatorio? L’Inter ebbe timore del Barcellona, ma non il timore esagerato mostrato contro il City a Istanbul: e forse al Camp Nou ebbe la fortuna di andare sotto presto, al 40’, per il gol di Dembelè, e di avere un intero tempo per pensare ad attaccare; e infatti in quei 45 minuti l’Inter prima pareggiò, poi ribaltò il risultato e di gol alla fine ne segnò 3, ma avrebbero potuti essere di più. Non era stato così difficile mettere sotto il Barcellona: era bastato attaccarlo. Morale della favola. Se persino in Arabia è scoppiata una sommossa alla notizia del possibile arrivo di Massimiliano Allegri (leggi: del calcio difensivo), il messaggio è chiaro: grazie Inter per la splendida avventura che ci hai regalato, ma ricordalo, attaccare non solo è più bello, è più redditizio”.